Costanza, determinazione e un dominio su entrambi i lati del campo sono stati i fattori chiave per ottenere una convincente vittoria in trasferta nell’ultimo turno di campionato. Il responsabile principale di questo trionfo è senza dubbio Bruno Mascolo (Bertram Derthona) vincitore di entrambi i premi come miglior giocatore e miglior italiano grazie a 2.071 voti complessivi (rispettivamente 1.123 e 948). Alle sue spalle sono finiti Nazareth Mitrou-Long (Germani Brescia, 1.027 voti) e David Cournooh (Vanoli Cremona, 774 voti come MVP e 774 come Best ITA) nella categoria MVP, a cui si aggiunge Diego Flaccadori (Dolomiti Energia Trentino, 627 voti) come terzo italiano in gara.
Avere fiducia in se stessi non è sinonimo di essere arroganti, fidarsi dei propri mezzi significa sapere di poter dare il massimo alla propria squadra ottenendo il risultato prefissato. Se alla consapevolezza di possedere qualcosa di speciale, ci si aggiunge la ‘cazzimma’ – obbligatoria se si è originari della Campania – ecco che all’improvviso compare il lampo di genio: si accende la proverbiale lampadina e una normale serata di pallacanestro si trasforma in una pièce teatrale in quattro atti dove il protagonista rimane il medesimo, ma lo spettacolo propone un climax crescente di emozioni. Dopo nove partite in cui Mascolo non è mai riuscito a toccare la doppia cifra alla voce punti e solo in quattro di queste ha disputato oltre dieci minuti, la sua gara contro la Fortitudo Bologna è stata un’iniezione di fiducia per sè stesso e per l’intera squadra. Il classe 1996 ha stabilito il suo massimo di punti in Serie A segnandone 21, frutto di una serata quasi perfetta al tiro conclusa con 9 tiri a segno su 11 tentati (7/8 dalla media, 2/3 da oltre l’arco, 1/2 a cronometro fermo); la sua festa sul parquet è stata una mezz’ora di intrattenimento anche per i compagni, serviti in 5 occasioni per mandarli a canestro e nel mezzo ha contribuito anche con una manciata di rimbalzi, un recupero e 3 falli subiti per il 25 di valutazione complessivo, anch’esso suo massimo in carriera per la Serie A.
Giocate da highlights quelle di Bruno Mascolo che ha sentito tutta la fiducia di coach Ramondino e ha voluto regalargli una serata indimenticabile mostrando di quale pasta è fatto il suo playmaker. Il numero 14 della Bertram è stato un moto perpetuo per tutti i 31 minuti spesi in campo, un’arma letale in uscita dai blocchi utilizzati sia per far partire la sfera in direzione canestro sia per servire il compagno libero nell’angolo o con una giocata in pick and pop. La fortuna di condividere il campo con due specialisti come Daum e Macura ha inciso sulla sua sicurezza all’interno della partita, trovando spesso due alleati a cui lasciare la patata bollente in situazioni di raddoppio in cui era impossibile provare una conclusione; d’altra parte però non ha solo aggirato l’ostacolo servendo l’assist, ma ha provato la giocata che l’avversario non si sarebbe aspettato come la penetrazione con schiacciata (canestro dell’8-19) e il ‘fade-away’ di stampo Bryantiano nel secondo quarto con cui ha doppiato nel punteggio gli avversari (canestro del 22-44). Il pubblico amico si sta sfregando le mani in attesa di vedere uno show targato Mascolo tra le mura del PalaEnergica, sebbene attualmente non disdegni osservarlo sul piccolo schermo come protagonista delle vittorie di Derthona.
La stagione del 25enne da Castellamare di Stabia è una girandola di emozioni: nonostante sia tra i meno utilizzati (solo 16.2 minuti di media, 8° di squadra) è di sicuro un punto fermo della Bertram con 16 partite su 16 disputate, tutte quante cominciate in quintetto a dimostrazione della fiducia di cui gode. Alla sua prima vera stagione nel massimo campionato (escludendo le brevi apparizioni con la Manital Torino nel 2015-2016), Mascolo si sta distinguendo come jolly all’interno del roster grazie alla sua capacità di adattamento in entrambi ruoli di guardia e playmaker. Quando coach Ramondino necessita di punti in uscita dai blocchi o triple per spaccare la partita, può contare su di lui altrettanto se serve un giocatore che sappia gestire i possessi in fasi concitate, a testimonianza della sua lungimiranza e sangue freddo nelle decisioni. Curiosità sull’annata di Bruno Mascolo: in entrambe le gare contro le compagini bolognesi è andato in doppia cifra (12 vs Virtus Segafredo Bologna e i 21 di questa giornata) risultando tra i migliori di Tortona e proprio nell’ultimo turno ha superato il suo massimo in carriera per minuti giocati (28, prima dei 31 di domenica) stabilito nella sfida contro la Virtus.
La convocazione in Nazionale maggiore vuol dire toccare il cielo con un dito per Bruno Mascolo e Alessandro Lever, come dichiarato da entrambi appena ricevuta la notizia.
“Mi sento tra le nuvole” – ha dichiarato Mascolo al “Corriere Torino” – “È arrivato tutto con il lavoro, senza arrendermi mai. Sono felice per questo e molto orgoglioso. La maglia azzurra è un sogno che mi accompagna da sempre. Dopo aver vinto il campionato l’anno scorso, ho pensato che in A1 avrei magari avuto un’opportunità se avessi giocato sempre ad alto livello. A dir la verità non me l’aspettavo così subito, alla prima finestra. Non so che dire, ripeto che sono sulle nuvole”.
Gli fa eco l’ala dell’Allianz Pallacanestro Trieste: “Sono felice e onorato di far parte di questo gruppo azzurro. Sarà un’occasione per fare esperienza e imparare molto anche dai ragazzi reduci dalle Olimpiadi. Sinceramente spero sia solo la prima di numerose convocazioni in nazionale. Per far diventare realtà questo mio desiderio dovrò continuare a lavorare sodo quotidianamente per crescere giorno dopo giorno e migliorare la mia lettura tattica del gioco del campionato italiano, molta diversa dal basket americano”.
da Archistadia – Antonio Cunazza – 30 ottobre 2021.
Quanto è importante l’impegno dell’Organizzazione di Volontariato “Slums Dunk” nella riqualificazione di campi da basket locali.
La voce di Bruno Cerella al telefono è gioviale e appassionata nel raccontare il lavoro della sua associazione Slums Dunk, fondata e gestita insieme a Tommaso Marino (e da poco diventata Organizzazione di Volontariato, OdV), entrambi giocatori di pallacanestro professionisti che stanno portando avanti uno splendido progetto di inclusione comunitaria attraverso lo sport: «Ma è importante sottolineare che noi non riqualifichiamo campi da basket soltanto per realizzare un’opera urbana. Il nostro impegno è creare uno spazio di sport e di crescita per la cittadinanza, e per le comunità locali che attorno a quel playground possono ritrovarsi come prima non succedeva».
Nel corso dell’estate 2021, Slums Dunk ha inaugurato il playground di viale Stelvio, angolo via Paolo Bassi, a Milano, riportandolo a brillare e restituendolo alla cittadinanza come luogo aggregativo ritrovato per il quartiere. Un tassello che si è aggiunto alle tante esperienze dell’associazione in giro per il mondo: «L’avventura di Slums Dunk inizia dieci anni fa (nel 2011, ndr) con la voglia di portare un aiuto concreto alle comunità più bisognose attraverso lo sport, promuovendone i valori e coinvolgendo giovani e ragazzi che altrimenti non avrebbero avuto un luogo dove poter fare attività sportiva. Creare strutture adeguate significa partire da progetti che fanno a tutti gli effetti educazione attraverso lo sport, con attività in loco che proseguono poi durante tutto l’anno grazie all’impegno dei nostri istruttori».
Il playground Slums Dunk di viale Stelvio, Milano (photo by Slums Dunk OdV)
«Quello che per noi è fondamentale è che il campo da basket è solo lo strumento attorno cui migliorare le condizioni di vita degli abitanti», e infatti i progetti di Slums Dunk perseguono un obiettivo di crescita a 360°, che ruota attorno a sport, salute ed educazione scolastica. «Ovviamente della parte sportiva ci occupiamo noi, mentre per salute ed educazione scolastica abbiamo la competenza di partner che sostengono l’associazione e condividono l’importanza di questi programmi. Ci avvaliamo dell’aiuto di fondazioni, onlus e associazioni legate ai diversi luoghi del mondo e consapevoli delle necessità di quel territorio specifico».
Slums Dunk, infatti, ha già realizzato progetti di “riqualificazione sportiva” in vari Paesi del mondo: Kenya, Zambia, Cambogia e Argentina (in quest’ultimo caso nella città di Bahia Bianca, luogo di nascita di Bruno Cerella). «I ragazzi che coinvolgiamo in questi programmi vanno dai 6 ai 18 anni d’età, e negli ultimi due anni ci siamo concentrati sulla realizzazione del campo Stelvio di Milano, che avrà una prima programmazione di eventi e attività per il prossimo biennio. Oltre a essere una piccola soddisfazione personale, per restituire qualcosa alla città dove abbiamo la sede e da cui partono tutte le nostre idee, Stelvio Milano diventerà il primo passo per strutturare progetti sul territorio italiano che affronteranno in modo specifico le criticità sociali dei quartieri».
Per esempio, il primo progetto realizzato da Slums Dunk era stato sviluppato nella baraccopoli di Mathare, in Kenya (nel 2014), dove l’associazione ha attivato una scuola di minibasket per 100 ragazzi, ha garantito il libero accesso al playground e supporta l’educazione per circa mille ragazzi under 15 attraverso dieci scuole locali.
Un momento di gioco sul campo Slums Dunk di Mathare, Kenya (photo by Slums Dunk Onlus)
«Durante il primo lockdown nel 2020, sono andato a parlare al Comune di Milano di questa possibilità e da lì abbiamo lavorato insieme al loro team di progettazione paesaggistica e urbanistica, individuando poi il campo di viale Stelvio, anche perché molto vicino alla nostra sede di Slums Dunk. Non è stato comunque semplice né immediato: abbiamo attraversato vari passaggi burocratici fino a ottenere il permesso di costruire, e in generale ci è voluto circa un anno e mezzo di lavoro per arrivare all’approvazione del progetto definitivo. Ciò di cui siamo stati felici, però, è stato l’entusiasmo del Comune di Milano nell’appoggiarci in questa iniziativa, con l’obiettivo di poter valorizzare a livello sociale quello spazio di città».
Da Milano, e da quella che è una vera e propria opera di riqualificazione urbana, passando alle esperienze all’estero ci sono differenze sostanziali nell’approccio, alle quali Slums Dunk si è sempre adeguata a seconda delle circostanze, dialogando con istituzioni e riferimenti locali: «A differenza di Milano, all’estero ci è capitato di acquistare direttamente il terreno su cui realizzare i campi, oppure di appoggiarci ad associazioni locali che ci mettevano a disposizione spazi specifici per sviluppare i progetti», e ora Slums Dunk ha già avviato un nuovo progetto in Cambogia, a Phnom Penh, grazie a una giovane giocatrice cambogiana che vive in Italia e che ha contattato l’associazione proprio per portare tutto questo anche nel suo Paese natale
Il rispetto, la disciplina, l’amicizia, sono tutti valori veicolati attraverso lo sport, e avere un luogo dove poter giocare a pallacanestro e dove poter partecipare ad attività educative dedicate alla cittadinanza assume un valore sociale fondamentale, che si lega all’importanza dello sport di quartiere e dell’attività di base: «Quello di cui siamo orgogliosi è che stiamo portando avanti questo progetto grazie ai sostenitori che comprendono il valore del nostro progetto. Ma non abbiamo sponsor, solo sostenitori e amici, e questo sottolinea quanto l’opera di Slums Dunk sia vista come genuina e positiva, e possa davvero essere un contributo di sviluppo e cambiamento».
A proposito di Slums Dunk…
Mossi dall’obiettivo di restituire una seconda vita alle periferie di alcune delle baraccopoli più degradate del mondo tra Kenya, Zambia, Argentina e Cambogia attraverso la creazione di Basketball Academy, dal 2011 la OdV Slums Dunk, fondata dai cestisti Bruno Cerella e Tommaso Marino, ha coinvolto più di 5.000 ragazzi e ragazze under 18 nelle loro attività (sul campo e non), dando loro un’importante opportunità di crescita e salvandoli da situazioni molto difficili.
Il playground di viale Stelvio, Milano, prima dell’intervento di Slums Dunk (photo by Slums Dunk OdV)Il playground Slums Dunk di viale Stelvio, Milano (photo by Slums Dunk OdV)Tommaso Marino (al centro) e Bruno Cerella (a dx) sul campo Slums Dunk di viale Stelvio, Milano (photo by Slums Dunk Onlus)Foto di gruppo Slums Dunk sul campo di viale Stelvio, Milano (photo by Slums Dunk OdV)
Biligha Paul Stephan of Olimpia Milano
A|X Armani Exchange Olimpia Milano – Vanoli Cremona
Basket Serie A LBA 2020/2021
Milano 10 May 2021
Foto Mattia Ozbot / Ciamillo-Castoria
L’AX Armani Milano, che ha vinto la stagione regolare ed è testa di serie n.1 del tabellone dei playoff scudetto, non ha solo giocatori straordinari ma anche All Star dello studio e dell’applicazione nel mondo reale di ciò che è stato appreso all’università. Shavon Shield, autore della fantastica gara-5 col Bayern che ha portato l’Olimpia alle Final Four di Eurolega dopo 29 anni, quando vestiva la maglia dell’Università del Nebraska, per due anni consecutivi, è stato eletto nel miglior quintetto dei giocatori-studenti delle università americane, un premio (dato dalla CoSIDA), che combina voti a scuola e prestazioni in campo. Laureato in scienze biologiche, Shields, figlio di un giocatore di football convocato 12 volte per il Pro Bowl, è sempre stato molto motivato negli studi: “Se mio padre mi ha insegnato la professionalità in ogni aspetto della vita – racconta Shavon – la mamma mi ha dato la disciplina e il concetto che lo studio fosse comunque il momento prioritario di ogni mia giornata”. Così è stato, ma non è finita qui: “Quando finirò la carriera, tornerò all’università per perfezionare la mia formazione. Poi deciderò il mio futuro: l’importante è fare qualcosa che mi appassioni”.
Molto diversa è la storia di Malcom Delaney, cresciuto in uno dei quartieri più pericolosi e poveri di Baltimora. Se suo fratello maggiore, oggi costretto su una sedia a rotelle perché colpito da 5 proiettili vaganti mentre era alla guida della sua auto, è stata la persona che lo ha tenuto lontano dai guai, già ai tempi dell’università a Virginia Tech si diceva che Malcom stesse prendendo gli studi e il basket come se fosse il Ceo di una azienda. Quindi laurea in business (prodotti e consumatori) che poi, una volta diventato professionista del basket, lo ha portato ad investire i soldi guadagnati nella NBA e in Europa creando qualcosa di proprio: “Gran parte del tempo che mi lascia libero il basket lo occupo per seguire la mia società immobiliare e gli investimenti – racconta -. Non farò lo sportivo per sempre, per me è motivo di orgoglio pensare che sono in grado di dare sicurezza alla mia famiglia”. Non solo: sempre attivo nei programmi di charity, sta cercando di rendere meno dura la vita dei bambini del quartiere di Baltimora dove è nato con donazioni e interventi mirati (ha regalato 400 giubbotti, più guanti, cappelli, calze pesanti quando degli studenti sono stati costretti a frequentare aule dove la temperatura in inverno raggiungeva a malapena i tre gradi).
L’Armani è anche la casa di uno dei 10 giocatori laureati presenti nei roster delle squadre LBA. Paul Biligha (nella foto), già testimonial della Next Generation Educational, s’è laureato online nel 2020 in Scienza e Tecnologia agraria. L’azzurro, nato a Perugia da genitori camerunesi, ha voluto fare della sua tesi un progetto mirato per la sua terra, dove vive ancora la sua famiglia e ha molti amici. “L’argomento della tesi riguarda le energie rinnovabili nell’Africa SubSahariana – dice -. Ho un progetto per evitare che una foresta, la foresta delle scimmie, vicino a Douala venga distrutta per far fronte alle necessità energetiche della popolazione, utilizzando invece energie rinnovabili come le biomasse. Purtroppo la pandemia non mi ha permesso di tornare a casa la scorsa estate e il progetto è ancora allo stato embrionale. Mi piace studiare e continuerò a farlo fintanto che il mio lavoro è il basket”.
Ma il computo dei laureati Olimpia a breve aumenterà, visto che Davide Moretti sta per ottenere quella in Scienze Sociali a Texas Tech, ateneo americano dove ha giocato e studiato fino alla scorsa stagione. Anche Davide è stato segnalato dalla CoSIDA nell’elenco degli All America dei migliori giocatori-studenti degli Stati Uniti. Per lui, come per gli altri dottori che hanno ottenuto la laurea negli Stati Uniti, il percorso continuerà per poterne ottenere il riconoscimento nel nostro Paese. Non va dimenticato che al vertice dell’Olimpia, non solo capo allenatore ma anche presidente delle Basketball Operations, c’è Ettore Messina, laureato in Economia a Ca’ Foscari a Venezia che è stato, poi, insignito di una seconda laurea honoris causa in Scienze Motorie all’Università di Bologna. Non ci sono più dubbi che sia possibile aver successo al massimo livello nel basket e negli studi. L’Olimpia Armani lo sa, almeno, da 55 anni quando un suo giocatore, Bill Bradley, laureato a Princeton, con un dottorato a Oxford, diventato senatore è arrivato sul punto di candidarsi alla presidenza degli Stati Uniti.
Il “bahiense” della Reyer Venezia ci ha raccontato le tappe della sua carriera, partendo dal basso.
Il 25 marzo 2021, Venezia ha spento 1600 candeline. Facile direte voi, con tutta quell’acqua. Ma se ci pensate, un gesto così banale come il classico “esprimi un desiderio e soffia” è la manifestazione più lampante della decisione irrazionale, istintiva, d’impulso. Con un po’ di fantasia, si può immaginare anche la Serenissima agire in tal senso. Il MOSE abbassato, qualche onda che si avvicina e Piazza San Marco che si bagna come una volta. Sembrano passati secoli da quando migliaia di improvvisati stivali di gomma camminavano a contatto con il primo cittadino, nonché condizione sufficiente e necessaria, del capoluogo veneto: il mare. Chi a passi felpati, iniziando ad elaborare qualche scusa da sottoporre al capo per il ritardo; chi con tutta la calma del mondo, conscio che di ritardi, ormai, ne ha già accumulati abbastanza.
Ma c’è chi non si può permettere di arrivare tardi a lavoro. Anzi, non ha la benché minima intenzione di farlo. “Di doman non v’è certezza”, scriveva Lorenzo De’ Medici in occasione del Carnevale del 1490; un’occasione che, guarda caso, anche a Venezia son soliti celebrare con particolare minuzia. Bruno Cerella, di compleanni veneziani, ne ha finora festeggiati quattro, dopo essere sbarcato in Laguna prima dell’inizio della stagione 2017/2018. Anni di trofei, soddisfazioni e di scelte. Una componente, quest’ultima, che si è travestita da essenziale compagna di viaggio per tutto il corso della sua carriera, dentro e fuori dal campo. Consapevole che del domani ci debba sempre essere una certezza.
Bruno Cerella e l’Argentina, blanco y azul
La prossima sarà la sua 17ª estate italiana, e la conoscenza della lingua lo dimostra. L’accento, però, non tradisce le origini. Bahia Blanca, terra di confine tra la Pampa e la Patagonia, plasmata dal corso del Napostá che a quelle latitudini si tuffa nell’Atlantico. Lontana dalla Terra del Fuoco, ma che arde una passione innata per la palla a spicchi:
“Bahia Blanca è una città dove si mastica pallacanestro. Abbiamo calciatori importanti come Rodrigo Palacio o Lautaro Martinez, ma anche loro hanno avuto un passato nel basket, perché abbiamo più o meno 24 squadre di formazione. Ci sono tornei cittadini interni fantastici, fin da piccoli. Ho grandi ricordi di quando ero giovane con i palazzetti pieni: 100/150 persone che nei weekend andavano a vedere i bambini giocare. Il club non è solamente il posto dove si fa a fare sport, ma anche un punto di riferimento per le famiglie, per i quartieri. La nostra città parla pallacanestro in tutti i continenti. Anche l’allenatore della Nazionale argentina, El Oveja Sergio Hernández, è di Bahia Blanca: giocava con mia madre quando erano piccoli. A me fa molto piacere essere bahiense e sono felice di aver avuto la possibilità di conoscere Manu Ginobili. Allenarci insieme, fare partite benefiche… bello, bellissimo”
Sergio Hernández oggi allena a Saragozza, avversario della Dinamo Sassari in Basketball Champions League. É lui l’uomo su cui concentrarsi se si parla di Argentina in termini cestistici, ma nell’agosto 2004 non aveva la benché minima idea che un giorno sarebbe arrivato a sedersi su quella panchina. Si limitava ad osservarla dal televisore, un po’ come tutti i suoi connazionali. Un po’ come la sua ex compagna di squadra, che con Brunito e famiglia si godeva un’impresa destinata ad entrare negli annali della pallacanestro mondiale. Anzi, olimpica. La Generación Dorada dei vari Carlos Delfino, Andrés Nocioni e Manu Ginobili, tra gli altri, ha lasciato un segno difficile da elidere nel corso del tempo:
“Sicuramente sono stati un esempio, un punto di riferimento per i giovani di quell’epoca. Un sogno. Ero giovane, ma ho ricordi vividi di cosa sia stato per la città di Bahia Blanca quell’oro olimpico: Alejandro Montecchia, Pepe Sanchez e Manu erano tre giocatori molto importanti, che hanno portato l’oro nella città. Sono stati una gran fonte d’ispirazione per noi”
In quella spedizione che ha tenuto attaccati allo schermo milioni di appassionati e non, uniti nel drappeggio di un’unica bandiera albiceleste, c’era anche e soprattutto Luis Scola y cuerpo di quel gruppo. E se nell’estate ellenica Bruno poteva solo ammirarlo dall’altra parte dell’Atlantico, ora gli capita di incontrarlo dentro e fuori dal parquet. Con degli spicchi in una mano ed un mate nell’altra:
Per me è un onore. Avere la possibilità di bere il mate con lui e scambiare due chiacchiere, è un piacere. È una persona che ha fatto la storia della pallacanestro argentina e non solo, ha giocato in quasi tutti i campionati del mondo, o almeno in quasi tutti i continenti: Sud America, Nord America, Europa, Asia. È una persona stupenda, un’ispirazione per tanti giovani: uno che, alla sua età, continua a lavorare quotidianamente con gli stimoli per migliorare e provare ad essere sempre al top della forma. Non è semplice, soprattutto dopo aver vinto tante cose, quando il fisico comincia a cambiare”
Bruno Cerella e Luis Scola prima di Venezia-Varese (A. Gilardi/Ciamillo-Castoria)
Blanco y rojo
Tempo di godersi una premiazione, l’alloro ad incoronare quella squadra. E poi via, con un biglietto di sola andata verso il Vecchio Continente: nel settembre 2004, Bruno Cerella si lascia Bahia Blanca alle spalle (solo materialmente, intendiamoci) e decolla alla volta della Puglia. Dal Pueyrredon al Massafra, in C2. La prima scelta, senza rimorsi e senza voltarsi indietro. La direzione intrapresa non permette una retromarcia, qualunque sia l’orizzonte. E non è detto che quest’ultimo debba essere necessariamente legato alla pallacanestro:
“Tutto è valso fin dall’inizio, perché la mia idea era quella di vivere un’esperienza lontano da casa, e non di diventare un grande campione di basket, o arrivare in Serie A. Io ho dato valore al vivere da solo a 18 anni, avere i propri soldi ogni mese e doverli gestire, dovermi reinventare per avere da parte qualcosa in più a fine mese, ad esempio allenando i bambini. In più, sapendo di non aver il giudizio delle persone vicine, tutte le scelte che fai nel quotidiano sono tue. Vivendo da solo, in un Paese straniero, tutte le scelte che facevo quotidianamente erano mia responsabilità: se fossi rimasto in casa a mangiare patatine, bere e fumare, sicuramente non avrei fatto questa carriera. Ti responsabilizzi più velocemente, per questo consiglierei sempre a qualsiasi giovane di andare lontano da casa. Ma lontano per davvero, non poter tornare con un pullman quando sei triste. Ricordo che al primo anno mio nonno ci aveva lasciato, ma non sono tornato, perché avrebbe significato stare una settimana lontano dalla squadra e dalla mia responsabilità. Ero in un momento delicato, ma ho continuato il mio percorso. L’esperienza da giovane, lontano da casa, è stata fantastica. E non è stato un bisogno economico, l’ho fatto perché i miei genitori mi hanno spronato”
Il suo percorso italiano, come anticipato, è una vera e propria scalata graduale verso i piani alti del basket nostrano. A Massafra non riesce a trovare spazio, ma non si perde d’animo e sposta i suoi talenti a Senise prima e Salernopoi, conquistando il campionato di C2. Il salto di categoria potrebbe intimorire, ma realtà è che i gradini superati sono due, come quando da piccoli si corre all’impazzata per le scale del condominio: Potenza punta su di lui per la B2 e lui ripaga con un ulteriore tuffo verso la B1.
I numeri sono importanti: Cerella mantiene medie da 16.8 punti, 5.5 rimbalzi, 1.8 assist e 2.4 palle recuperate a partita, con il 66.8% dentro l’area e l’81.5% ai liberi. Nel 2008, arriva un altro doppio salto, con la chiamata di Teramo per la Serie A. Bruno, a quattro anni dal suo arrivo tra le maestranze, è sul palcoscenico con la platea più numerosa. Ma non ha intenzione di dimenticare ciò che ha appreso dietro le quinte:
“Di quegli anni, mi sono portato dietro la capacità di saper rispettare il momento della carriera. Non bisogna bruciare le tappe o avere delle grosse aspettative da giovani, quando bisogna divertirsi e appassionarsi, senza pressioni. Il divertimento e la passione sono ciò che ti fanno alzare la mattina con la voglia di andare in campo e lavorare. Nessuno ti deve imporre nulla. Quando sono arrivato in Italia, l’ho fatto principalmente per vivere un’esperienza di vita lontano dalla mia famiglia e poi, dando il massimo, essendo contento ogni giorno per quello che facevo, sono riuscito a fare il mio percorso, crescendo e facendo quasi tutte le categorie, dove mi sono divertito molto ed ho formato una parte fondamentale di me, quella di dare importanza alle piccole cose quotidiane. Non avrei mai immaginato di giocare per Milano e Venezia per quasi dieci anni di fila, dove mi sono divertito ed ho vinto tanto insieme a grandi persone, prima che compagni. Ho viaggiato, mi sono divertito, ho guadagnato. Questo credo sia il frutto di una grande dedizione, passione e divertimento all’interno di tutto il percorso”
Il processo di inserimento nelle rotazioni di coach Capobianco è complesso, vista l’abbondanza di talento nei primi biancorossi della sua carriera. In Abruzzo trova Jaycee Carroll, David Moss, Peppe Poeta, Brandon Brown e Valerio Amoroso, tra gli altri. La concorrenza, dunque, è particolarmente spietata e Teramo sorprende dall’inizio alla fine. Il terzo posto in classifica è il preludio di una serie di annate soddisfacenti per Bruno Cerella, che cresce individualmente e matura nel collettivo. Possono sembrare sinonimi, ma il confine tra questi due verbi, quando c’è di mezzo lo sport, è fin troppo labile.
I quattro anni abruzzesi, intervallati da una parentesi in A2 a Casalpusterlengo, gli stendono il red (and white) carpet verso le successive avventure in terra lombarda. In particolare, Cerella rapisce le attenzioni di tifosi – capiterà anche al sottoscritto – ed addetti ai lavori con una prestazione da capogiro il giorno dopo San Valentino 2012: contro l’Angelico Biella di Aubrey Coleman e Jacob Pullen, il bahiense tira fuori una gara da 27 punti (5/7 da 2 e 4/5 da 3), 2 rimbalzi, 2 assist, 4 recuperate e 7 falli subiti, con 34 di valutazione. Un fascio di luce in una stagione piena di problematiche societarie, al termine della quale il basket teramano uscirà definitivamente dalle scene.
Cerella, però, non può salutare in maniera ordinaria la squadra che per prima gli ha permesso di assaporare la Serie A. Verso la fine del terzo quarto di gioco contro Milano – guarda un po’ il destino -, il ginocchio fa crack. Il responso è il peggiore: rottura del legamento crociato, si pensa all’anno prossimo. Si pensa a Varese, che punta su di lui nonostante un’integrità fisica alquanto deficitaria.
Cerella c’è poco sul campo, ma è uno dei tanti tasselli nel puzzle che costruisce Frnk Vitucci, direttore in un’orchestra che prevede musicisti come Bryant Dunston, Ebi Ere, Adrian Banks, Mike Green, Dusan Sakota ed un giovanissimo Achille Polonara. Suona bene, quest’orchestra. Ma il Festival 2012/2013 premia un’altra concorrente:
“Quella stagione è stata fantastica, perché abbiamo dominato la classifica dall’inizio alla fine, vincendo un po’ in tutti i campi d’Italia. Tanti giovani e tanti nuovi giocatori nella stessa squadra, il che è difficile, ma c’è stata subito una bella alchimia e ci siamo amalgamati subito. Peccato non aver vinto nulla. Sono quelle annate in cui arrivi primo in classifica, ma poi perdi la finale di Coppa Italia con Siena, ti si rompe Dunston in semifinale Scudetto e perdiamo gara-7 in casa… Non aver vinto lo Scudetto è stato un peccato, ma ci siamo divertiti tantissimo ed abbiamo riportato Varese, una città che vive di pallacanestro, in alto in classifica. Per me è stata un’annata particolare, perché era il mio rientro dall’infortunio al crociato. È stato bello, perché a Varese si vive benissimo ed il basket si sente. La stagione è stata fantastica”.
Frank Vitucci a colloquio con Bruno Cerella ai tempi di Varese (G.Contessa/Ciamillo-Castoria)
Non c’è due senza tre, e l’opportunità casca dal cielo all’indomani di quella prima stagione in maglia Varese. Un’altra città che vive di pallacanestro lo chiama con sé, pronta a vincere e convincere dopo un’astinenza di 18 anni. E dunque il saluto a Bahia Blanca, il volo poco dopo la maggiore età verso le fondamenta della pallacanestro italiana, i sacrifici: tutto ripaga, visto che Luca Banchi lo vuole nell’Olimpia Milano che tornerà sul tetto d’Italia nell’estate successiva.
Bruno è una delle componenti di quel Luis Scola calamitante ad Atene 2004: cuerpo nella metà campo difensiva, ma soprattutto alma di una compagine ricca di talento. Keith Langford, Alessandro Gentile, Daniel Hackett (a stagione in corso), Samardo Samuels; e poi un giovanissimo Nicolò Melli, l’ex compagno di squadra a Teramo David Moss. E poi Cerella, che in un amen diventa il beniamino del Mediolanum Forum: difesa, grinta, carica emotiva.
All’ombra della Madonnina, l’argentino mette in bacheca 2 Scudetti, 1 Supercoppa Italiana e 2 Coppe Italia. La seconda, nel 2017, contro la Dinamo Sassari. La prima, l’anno precedente, con un recupero lampo: Cerella subisce una lesione a manico di secchio del menisco mediale del ginocchio destro nei quarti di finale contro Venezia, nella serata di venerdì. Sabato alle 8:30 viene operato a Monza e domenica sera è in campo contro Avellino, pronto a sollevare un trofeo che a Milano mancava da 20 anni. Resiliencia.
Cerella carica il pubblico del Forum nel derby tra Milano e Cantù (R.Morgano/Ciamillo-Castoria)
Cerella in oro y granate
Forse è la mancanza del mare, che l’aveva cullato durante infanzia ed adolescenza. O forse è proprio la consapevolezza che possa scegliere cosa fare di quel che verrà. Asterisco: voglia scegliere. Si allinea qualche astro nel cielo sopra la Serenissima e Bruno Cerella riparte da Venezia. Sono lontani i tempi di Potenza, così come quelli di Teramo: nel corso degli anni ha affinato il suo ruolo, nel processo di maturazione di cui ho accennato in precedenza.
E si sposa perfettamente con la Reyer: spirito libero ma pragmatico, tanto sognatrice quanto realista. Ma soprattutto, capace di rialzarsi quando l’atterraggio si trasforma in ammaraggio, questione di abitudine.
“Di sicuro, la scelta dei giocatori è quella più importante, ed è un qualcosa che parte dal presidente, dal GM e dallo staff tecnico. Guardano molto la parte tecnica dei giocatori, ma soprattutto quella umana. A prescindere dal fatto che in certe annate abbiamo vinto, abbiamo saputo attraversare momenti difficili senza sgretolarci. Tutti gli anni abbiamo avuto periodi complessi, ma la parte umana è emersa in modo positivo ed al posto di sgretolarci, ci siamo uniti e siamo arrivati pronti alla Coppa Italia, ai playoff, alla finale di Europe Cup… queste son cose molto importanti e c’è un grandissimo lavoro da parte dello staff tecnico. I valori all’interno del gruppo sono fantastici: abbiamo davvero il piacere di condividere una pizza dopo l’allenamento in spogliatoio, perché ci si diverte e si sta bene”
Bruno Cerella nella finale Scudetto contro Sassari del 2019 (L.Canu/Ciamillo-Castoria)
In panchina, ormai dal 2016, siede Walter De Raffaele, che l’ha convocato nel 2008 nella sua Nazionale LNP Under-22. L’attestato di stima nei confronti dell’argentino era arrivato anche dal mentore e predecessore dell’attuale coach orogranata, Charlie Recalcati. Difficile, dunque, ipotizzare che le cose tra Cerella e l’ambiente veneziano non sarebbero andate nel migliore dei modi.
E infatti, la bacheca si arricchisce: un altro Scudetto, un’altra Coppa Italia ed una Europe Cup, prima e finora unica competizione europea vinta dal numero 30. Sarebbe potuta essere la seconda, ma il Maccabi Tel Aviv incontrato nel 2014 – e che avrebbe vinto quell’Eurolega, proprio al Mediolanum Forum – non voleva buttare al vento un sogno pronto per essere avverato.
Venezia si appresta alla fase più bollente e tormentata della stagione, con la primavera che si affaccia sulla Laguna ed implora che la cavalcata entro i confini nazionali possa proseguire fino al suo tramutarsi nell’estate. Sempre con il tricolore sul petto, visto che nell’annata 2019/2020 la pandemia ha impedito che qualcuno lo scucisse dalla divisa oro-granata. Bruno Cerella c’era e lo rivive, consapevole che una nuova fase della propria avventura si stia avvicinando. E non è detto che sia sul parquet.
“Ci sono diversi momenti nella carriera ed ognuno ha il suo perché. Da giovane vuoi mangiarti il mondo, al top della carriera sei concentrato su quello, mentre quando cominci a crescere ti godi di più le piccole cose a cui prima non davi importanza, dallo spogliatoio ad una vittoria che va al di là della prestazione personale. Tra lo Scudetto con Milano e quello con Venezia, l’ultimo me lo sono goduto in modo diverso, più maturo: sono momenti diversi nella propria avventura. Ed è questo il bello, perché si cambia, si cresce e tutto ha un ciclo.
Non l’avrei mai pensato, ma gli anni cominciano a passare ed arriva, prima o poi, la fine della carriera. Le basi della mia carriera sono state la pazienza, la costanza e la dedizione al lavoro quotidiano. Al di là di quanto talento uno possa avere, quella è una forza mentale che ti dà tantissimi frutti da qualsiasi punto di vista, in ogni momento. La cosa che noto oggi è che i giovani vogliono tutto subito e c’è frustrazione quando non si arriva subito all’obiettivo. Bisogna comprendere che la vita non è un “ok, voglio quello: finita”. Fa tutto parte di un percorso, di vivere la vita perseguendo piccoli e continui obiettivi da raggiungere, per avere stimoli quotidiani”
Arcoíris de decisiones Come ho cercato di far capire nel corso della narrazione, la base su cui si è poggiata la carriera del bahiense è sempre stata la dedizione quotidiana al lavoro. Credo che ciò che ha rappresentato il vero cemento armato nella carriera dell’argentino sia, però, la consapevolezza delle proprie scelte, che esulano da tutto e da tutti. Essere artefici del proprio destino, desde el primer día.
C’è chi non può avere questa base, costretto ad una vita senza il sogno di calcare il parquet. O senza alcun tipo di sogno, in maniera letterale. Ragazzi il cui destino è stato regolato con filo da decisioni altrui. È per loro che Tommaso Marino e Bruno Cerella hanno fondato Slums Dunk, per far sì che nel loro futuro non ci sia spazio per nessun altro burattinaio.
“La più grande soddisfazione è il fatto che ancora oggi, dopo 10 anni, continuano ad aumentare i sostenitori, coloro che si appassionano ad un progetto che è di tutti. E soprattutto, abbiamo nettamente oltrepassato le nostre aspettative sui frutti che avremmo pensato di raccogliere. Dalle 50 borse di studio dei nostri giocatori e delle nostre giocatrici, che non avremmo mai immaginato, allo sviluppare un progetto nuovo in territorio italiano; e poi allargarci in Argentina, la mia terra, a cui ho sempre pensato di dare qualcosa indietro, avviare una nuova attività in Cambogia… scrivere un libro, fare tantissime cose con persone fantastiche conosciute lungo il percorso. Se mi guardo indietro, penso che siamo stati folli, perché avevamo 23 anni, ma al contempo – e lo dico con orgoglio – meravigliosi, perché abbiamo creato un progetto sostenibile nel tempo, che porta contributi a diverse comunità nel mondo”
Bruno Cerella con i ragazzi di Slums Dunk a Ndola, Zambia (Instagram @brunocerella.30)
Una delle nuove tappe di questo percorso, dunque, passa proprio da dove tutto è iniziato, nella prima squadra che ha creduto nel 30 di Venezia. A Bahia Blanca, grazie all’aiuto del Pueyrredon e dei murales di Julian Martin, è nato un nuovo progetto, dipinto come un arcobaleno. E c’è anche questo, nell’orizzonte di Bruno Cerella.
“Per colorare il mio futuro, rovescerei quelle vernici tutte insieme. Vedo un futuro prossimo, molto bello, perché per me la pallacanestro è uno strumento che ho utilizzato per vivere questa tappa nella mia vita, consapevole che avrà una fine naturale, come giocatore. Sono conscio che Slums Dunk sarà la mia parte legata al basket per sempre: ho tanti progetti che sto sviluppando al di fuori dal campo, per vivere la vita in modo sereno, ma continuando ad avere cose da fare.
Vorrei avere sempre nuove sfide. Di sicuro con più libertà nei weekend rispetto a tutta la carriera, però vedo un futuro bello, perché sono una persona curiosa e che non si accontenta solo di giocare a basket. Ad oggi, quando appenderò le scarpe al chiodo, posso scegliere cosa fare e questa è una fortuna. Mi son creato la mia vita fuori dal campo per non essere costretto a tornare in Argentina, come il 90% degli atleti stranieri in giro per il mondo. Vorrei poter scegliere cosa fare”
Poter scegliere cosa fare. Objetivo escoger, palabra de Brunito.
Biligha Paul Stephan
A|X Armani Exchange Milano – Umana Reyer Venezia
Campionato Legabasket 2018/2019 – LBA
Milano 17/03/19
Ciamillo – Castoria // Foto Vincenzo Delnegro
La Pallacanestro Olimpia Milano annuncia di aver firmato con un contratto di tre anni il giocatore Paul Biligha, centro di 2.00, nato il 31 maggio 1990 a Perugia, proveniente dall’Umana Reyer Venezia. “Per me arrivare a Milano significa aver raggiunto passo dopo passo il top: qui la richiesta ai singoli è sempre molto alta, ed è quello che mi serve per migliorare ancora”, dice Paul Biligha. “Abbiamo voluto Paul, perché ha le qualità atletiche e morali per aiutare la nostra squadra, oltre alle motivazioni per crescere ancora e diventare una parte importante della cultura che stiamo costruendo”, dice il general manager Christos Stavropoulos.
LA CARRIERA – Paul Biligha ha cominciato a giocare in Camerun, dove ha vissuto tra gli 8 e i 16 anni, e poi a Firenze al rientro in Italia. Successivamente, è stato acquistato dall’UCC Casalpusterlengo ma ha militato anche a Verolanuova, Crema, Pavia. Nel 2012, si è trasferito ad Avellino dove ha giocato due stagioni in Serie A prima di passare a Ferentino in A2. Dal 2015 al 2017 è stato a Cremona per due stagioni (nella seconda 11.0 punti e 5.2 rimbalzi di media) e poi altre due a Venezia, vincendo la Fiba Europe Cup nel 2018 e il campionato italiano nel 2019. Ha giocato anche un Europeo Under 20 con la Nazionale italiana nel 2010 e un Europeo nel 2017, in Israele e Turchia.
NOTE – Biligha è di origini camerunensi. Agli Europei del 2017 è stato allenato da Ettore Messina. Attualmente vanta 31 presenze nella Nazionale maggiore. Ha debuttato il 30 luglio 2017 in Italia-Olanda a Trento.
Bologna – 19/07/2018 – Alberto Bucci Presidente e Marco Martelli DS della Virtus Segafredo Bologna per i campionati 2018/2019 presentano David Cournooh alla palestra Porelli (Roberto Serra / Iguana / Virtus Pallacanestro Bologna)
mozione e orgoglio. David Cournooh si gode il primo giorno in casa Virtus rispondendo alle domande dei media tra il presidente di Virtus Pallacanestro, Alberto Bucci, e il Direttore sportivo, Marco Martelli. Un approdo fortemente voluto, per quello che è stato il primo volto nuovo di Virtus Segafredo 2018-2019. Una riflessione durata pochissimo tempo, per accettare la proposta di un viaggio che, parole sue, “servirà a crescere ancora, come giocatore e come persona”. “Do il benvenuto a David”, esordisce il presidente Alberto Bucci, “che ha sogni importanti legati al basket, e mi auguro che qui possa realizzarli. Abbiamo iniziato presentando i dirigenti, che stanno lavorando per costruire una squadra equilibrata e che possa divertire: sarà completamente nuova, ma sarà sempre la Virtus, e questo è alla base di tutto. Dopo dieci anni tornerà in Europa, sarà una grande esperienza e l’occasione per conquistare il cuore dei tifosi”. “Un giocatore”, spiega il Ds Marco Martelli, “deve avere caratteristiche significative dal punto di vista tecnico e da quello emotivo. David è esperto del nostro campionato, ed emotivamente è pronto a fare un salto in avanti nella carriera. Ha grande fisicità, come ben sanno sia Pino Sacripanti, che l’ha allenato con la Nazionale Under 20, che Giulio Griccioli che lo ha cresciuto da ragazzo a Siena. Nei colloqui che abbiamo avuto con lui ci ha dato ottime impressioni. Ci ha detto sì in poco tempo, e non mi resta che auguragli di continuare nel suo percorso, migliorandosi sempre”. “Ho accettato senza perdere tempo”, sono le prime parole di David Cournooh da virtussino, “perché mi piace il progetto che mi è stato esposto e perché so cosa significhi giocare per una società gloriosa come la Virtus. Essere qui oggi è un onore, e ne sono felice. Nella passata stagione sono venuto a giocare al PalaDozza con Cantù, e ho visto bene che ambiente c’è alla Virtus. Non vedo l’ora di provare quell’emozione con addosso questi colori. Giocherò anche in Europa, non lo facevo da due anni, e per me è importante, perché mi dà la possibilità di crescere ancora. A ventotto anni penso che sia una grande occasione per farlo. Ho scelto il numero 25, e c’è un perché: io sono molto religioso, e quel numero rappresenta un versetto della Bibbia che per me è fonte di ispirazione e di conforto. Al coach ho promesso disponibilità e dedizione alla squadra, che in fondo sono le chiavi con cui va inteso il basket, secondo me. I nuovi compagni di squadra? Sono sincero, molti non li conosco se non per le immagini di gioco, lì ho visto ciò che hanno fatto giocando in Europa. Ma proprio per questo non vedo l’ora di iniziare a lavorare insieme a loro. Io non sono uno che parla molto, non faccio proclami né promesse. Ma a chi mi a scelto e ai tifosi posso assicurare una cosa: il sudore e il lavoro non mancheranno mai, da parte mia”.
’ stato presentato ufficialmente alla stampa il nuovo acquisto della Red October Cantù, David Cournooh. A fare gli onori di casa il direttore sportivo bianco- blu, Gianluca Berti: “Siamo chiaramente felici dell’arrivo di David. Un giocatore che abbiamo cercato perché pensiamo che abbia le caratteristiche necessarie per migliorare la nostra squadra. Cournooh ha voluto fortemente venire a Cantù, è animato da una grande volontà di riscatto e sono convinto che dimostrerà che la nostra decisione è stata corretta. Sapete che il suo contratto è valido anche per la prossima stagione. E’ un bel segnale perché significa aver investito su un italiano e sono certo che sarà uno sprone per David affinché l’esperienza canturina sia importante e determinante per la sua carriera”. La parola è quindi passata al nuovo acquisto della Red October, David Cournooh: “Innanzitutto voglio ringraziare la società per l’’opportunità che mi è stata offerta. Sono molto contento di essere qui e non vedo l’ora di iniziare ad allenarmi con i miei compagni. La mia scelta è legata al ruolo che mi è stato proposto. Ho tanta voglia di rimettermi in gioco perché in questi mesi a Pistoia per diverse ragioni le cose non sono andate come speravo. Conosco la storia di Cantù, in Serie A ho avuto modo di giocare al Pianella e so che è una piazza importantissima. Sono una persona di poche parole che preferisce dimostrare le sue qualità sul campo. Penso però di poter dare tanto a questa squadra in termini di energia e capacità di attaccare il canestro visto che posso giocare sia da playmaker sia da guardia. Ho avuto modo di affrontare la Red October un mese fa e devo dire che è una formazione totalmente differente rispetto a inizio stagione. Gianluca mi ha detto che questo è un gruppo di bravissimi ragazzi che si trovano bene anche fuori dal parquet e quindi sono felice di essere arrivato a Cantù. Cosa puoi offrire alla Red October? Credo di poter garantire energia e penso di avere la possibilità di prendermi maggiori responsabilità. Questo è un aspetto che indubbiamente mi piace. Cosa invece speri che ti dia Cantù? Sono una persona abbastanza competitiva per cui il mio obiettivo è vincere più partite possibili. Sono qui per crescere e penso che questa sia la piazza giusta per me. Che impressione hai avuto della Red October quando l’hai affrontata a Pistoia? Ho visto una squadra molto diversa rispetto all’inizio del campionato, che ama correre in transizione e spingere velocemente la palla. Cantù ha recuperato Dowdell che si era infortunato alla prima giornata e che è un giocatore fondamentale. Johnson è uno dei migliori lunghi della Serie A e sta disputando una stagione fantastica. Ho visto giocatori davvero motivati a vincere e credo che questa formazione abbia la qualità per farlo. Il vostro obiettivo ora sono i playoff? Sono convinto che la situazione di classifica attuale non rispecchi il valore di questa squadra. L’obiettivo è vincere più partite possibili e poi, perché no, provare a conquistare i playoff.”
E’ il giorno della presentazione del primo volto nuovo in casa The Flexx Pistoia. Il sipario sulla stagione 2016/17 si alza con David Cournooh, che affronta la sua prima conferenza stampa a tinte biancorosse. “Siamo molto contenti di avere David qui a Pistoia -ha fatto gli onori di casa il direttore generale Iozzelli- perché è stato il primo nome su cui abbiamo deciso di puntare una volta appreso la volontà da parte di Filloy di percorrere strade diverse. E’ stata anche una trattativa molto rapida, a dispetto del valore e del mercato del giocatore, a testimonianza che anche da parte del ragazzo non ci sono stati dubbi nel voler scegliere Pistoia, pur potendo magari anche avere davanti offerte economicamente più importanti della nostra. David è un giocatore che ormai conosciamo bene -ha proseguito Iozzelli- e che arriva a Pistoia con un contratto biennale, senza alcuna opzione di uscita da parte né della società né del giocatore, a testimonianza che la volontà di fare un bel percorso insieme è reale”. E’ toccato poi al vice-coach Fabio Bongi (Vincenzo Esposito è a godersi qualche giorno di meritato riposo negli Stati Uniti) spendere parole importanti sul giocatore: “Cournooh è un elemento che è stato fin da subito in cima alla nostra lista dei desideri -ha spiegato Bongi- dal momento in cui Filloy, a cui rivolgo un grande in bocca al lupo, ha deciso di lasciare Pistoia. Siamo convinti di aver fatto bene a puntare su di lui, perché ha le caratteristiche, non solo tecniche ma anche umane, per poter avere un ruolo importante nel nostro gruppo. Ancora una volta abbiamo scelto prima la persona del giocatore, perché in questi anni abbiamo capito quanto sia importante saper di poter contare su un gruppo sano, che sappia affrontare nel modo migliore sia i momenti belli che quelli più complessi. Tecnicamente -ha proseguito Bongi- non lo scopriamo certo adesso: è un giocatore che frequenta ormai da diversi anni categorie e palcoscenici importanti, che ha fatto sempre bene quando è stato chiamato in causa. Avevamo bisogno di questo genere di giocatore e siamo estremamente contenti di poter lavorare con lui: crediamo che nella posizione di guardia, il suo ruolo naturale, possa esprimere appieno tutto il suo potenziale offensivo. Riteniamo che David, al di là del ruolo che andrà a ricoprire, sia ormai un giocatore maturo e pronto per avere compiti da protagonista”. “Sono molto contento di essere qua -sono state le prime parole di Cournooh- e personalmente non vedo l’ora di cominciare questa avventura. Non sono una persona alla quale piace parlare molto, perché ritengo che i giocatori debbano soprattutto parlare in campo: ci tengo però a ringraziare la società, il coach e lo staff per questa possibilità che mi è stata data. Ho scelto Pistoia perché secondo me è la piazza più giusta per la mia crescita di uomo e di giocatore: è una società seria e ben organizzata, in una piazza passionale che vive di basket e in cui la domenica il pubblico veramente riesce a trascinarti. Devo dire che non ho avuto dubbi quando mi è stata presentata la possibilità di venire qua: amo le sfide, sto per affrontare il mio quarto anno di serie A, sono un giocatore ormai non più giovanissimo e sinceramente sapevo quello che cercavo e che volevo”. Pistoia rappresenta, un po’ come Brindisi, una piazza in cui si respira basket sette giorni su sette: “Sono un giocatore passionale, che in campo vive di emozioni e da questo punto di vista -ha spiegato Cournooh- so quanto un palazzetto come questo riesca a trasmettere. Non mi piace fare promesse, ma da parte mia il massimo dell’impegno e dell’energia sul parquet non mancherà mai”. Riguardo al suo ruolo all’interno della squadra e alle sue caratteristiche, il nuovo arrivato pare avere le idee molto chiare: “Ho apprezzato molto il gioco che coach Esposito è riuscito a dare la scorsa stagione a Pistoia -ha spiegato l’ex-giocatore di Brindisi- e devo dire che è uno stile che amo particolarmente. Sono un giocatore a cui piace correre, soprattutto in transizione, difendere con grande determinazione e dare letteralmente fastidio al mio diretto avversario. Negli ultimi anni ho avuto una continuità piuttosto altalenante e so che dovrò migliorare sotto questo punto di vista: lavorerò duramente per farlo e in questo senso ritrovare Marcello Billeri, che è stato mio head coach ai tempi della Virtus Siena in serie B, non può che farmi grande piacere. Sono convinto che anche il prossimo anno questa squadra saprà far divertire”.