da Overtime – Cesare Milanti – 28 aprile 2021.
Il “bahiense” della Reyer Venezia ci ha raccontato le tappe della sua carriera, partendo dal basso.

Il 25 marzo 2021, Venezia ha spento 1600 candeline. Facile direte voi, con tutta quell’acqua. Ma se ci pensate, un gesto così banale come il classico “esprimi un desiderio e soffia” è la manifestazione più lampante della decisione irrazionale, istintiva, d’impulso. Con un po’ di fantasia, si può immaginare anche la Serenissima agire in tal senso. Il MOSE abbassato, qualche onda che si avvicina e Piazza San Marco che si bagna come una volta. Sembrano passati secoli da quando migliaia di improvvisati stivali di gomma camminavano a contatto con il primo cittadino, nonché condizione sufficiente e necessaria, del capoluogo veneto: il mare. Chi a passi felpati, iniziando ad elaborare qualche scusa da sottoporre al capo per il ritardo; chi con tutta la calma del mondo, conscio che di ritardi, ormai, ne ha già accumulati abbastanza.
Ma c’è chi non si può permettere di arrivare tardi a lavoro. Anzi, non ha la benché minima intenzione di farlo. “Di doman non v’è certezza”, scriveva Lorenzo De’ Medici in occasione del Carnevale del 1490; un’occasione che, guarda caso, anche a Venezia son soliti celebrare con particolare minuzia. Bruno Cerella, di compleanni veneziani, ne ha finora festeggiati quattro, dopo essere sbarcato in Laguna prima dell’inizio della stagione 2017/2018. Anni di trofei, soddisfazioni e di scelte. Una componente, quest’ultima, che si è travestita da essenziale compagna di viaggio per tutto il corso della sua carriera, dentro e fuori dal campo. Consapevole che del domani ci debba sempre essere una certezza.
Bruno Cerella e l’Argentina, blanco y azul
La prossima sarà la sua 17ª estate italiana, e la conoscenza della lingua lo dimostra. L’accento, però, non tradisce le origini. Bahia Blanca, terra di confine tra la Pampa e la Patagonia, plasmata dal corso del Napostá che a quelle latitudini si tuffa nell’Atlantico. Lontana dalla Terra del Fuoco, ma che arde una passione innata per la palla a spicchi:
“Bahia Blanca è una città dove si mastica pallacanestro. Abbiamo calciatori importanti come Rodrigo Palacio o Lautaro Martinez, ma anche loro hanno avuto un passato nel basket, perché abbiamo più o meno 24 squadre di formazione. Ci sono tornei cittadini interni fantastici, fin da piccoli. Ho grandi ricordi di quando ero giovane con i palazzetti pieni: 100/150 persone che nei weekend andavano a vedere i bambini giocare. Il club non è solamente il posto dove si fa a fare sport, ma anche un punto di riferimento per le famiglie, per i quartieri. La nostra città parla pallacanestro in tutti i continenti. Anche l’allenatore della Nazionale argentina, El Oveja Sergio Hernández, è di Bahia Blanca: giocava con mia madre quando erano piccoli. A me fa molto piacere essere bahiense e sono felice di aver avuto la possibilità di conoscere Manu Ginobili. Allenarci insieme, fare partite benefiche… bello, bellissimo”
Sergio Hernández oggi allena a Saragozza, avversario della Dinamo Sassari in Basketball Champions League. É lui l’uomo su cui concentrarsi se si parla di Argentina in termini cestistici, ma nell’agosto 2004 non aveva la benché minima idea che un giorno sarebbe arrivato a sedersi su quella panchina. Si limitava ad osservarla dal televisore, un po’ come tutti i suoi connazionali. Un po’ come la sua ex compagna di squadra, che con Brunito e famiglia si godeva un’impresa destinata ad entrare negli annali della pallacanestro mondiale. Anzi, olimpica. La Generación Dorada dei vari Carlos Delfino, Andrés Nocioni e Manu Ginobili, tra gli altri, ha lasciato un segno difficile da elidere nel corso del tempo:
“Sicuramente sono stati un esempio, un punto di riferimento per i giovani di quell’epoca. Un sogno. Ero giovane, ma ho ricordi vividi di cosa sia stato per la città di Bahia Blanca quell’oro olimpico: Alejandro Montecchia, Pepe Sanchez e Manu erano tre giocatori molto importanti, che hanno portato l’oro nella città. Sono stati una gran fonte d’ispirazione per noi”
In quella spedizione che ha tenuto attaccati allo schermo milioni di appassionati e non, uniti nel drappeggio di un’unica bandiera albiceleste, c’era anche e soprattutto Luis Scola y cuerpo di quel gruppo. E se nell’estate ellenica Bruno poteva solo ammirarlo dall’altra parte dell’Atlantico, ora gli capita di incontrarlo dentro e fuori dal parquet. Con degli spicchi in una mano ed un mate nell’altra:
Per me è un onore. Avere la possibilità di bere il mate con lui e scambiare due chiacchiere, è un piacere. È una persona che ha fatto la storia della pallacanestro argentina e non solo, ha giocato in quasi tutti i campionati del mondo, o almeno in quasi tutti i continenti: Sud America, Nord America, Europa, Asia. È una persona stupenda, un’ispirazione per tanti giovani: uno che, alla sua età, continua a lavorare quotidianamente con gli stimoli per migliorare e provare ad essere sempre al top della forma. Non è semplice, soprattutto dopo aver vinto tante cose, quando il fisico comincia a cambiare”

Blanco y rojo
Tempo di godersi una premiazione, l’alloro ad incoronare quella squadra. E poi via, con un biglietto di sola andata verso il Vecchio Continente: nel settembre 2004, Bruno Cerella si lascia Bahia Blanca alle spalle (solo materialmente, intendiamoci) e decolla alla volta della Puglia. Dal Pueyrredon al Massafra, in C2. La prima scelta, senza rimorsi e senza voltarsi indietro. La direzione intrapresa non permette una retromarcia, qualunque sia l’orizzonte. E non è detto che quest’ultimo debba essere necessariamente legato alla pallacanestro:
“Tutto è valso fin dall’inizio, perché la mia idea era quella di vivere un’esperienza lontano da casa, e non di diventare un grande campione di basket, o arrivare in Serie A. Io ho dato valore al vivere da solo a 18 anni, avere i propri soldi ogni mese e doverli gestire, dovermi reinventare per avere da parte qualcosa in più a fine mese, ad esempio allenando i bambini. In più, sapendo di non aver il giudizio delle persone vicine, tutte le scelte che fai nel quotidiano sono tue. Vivendo da solo, in un Paese straniero, tutte le scelte che facevo quotidianamente erano mia responsabilità: se fossi rimasto in casa a mangiare patatine, bere e fumare, sicuramente non avrei fatto questa carriera. Ti responsabilizzi più velocemente, per questo consiglierei sempre a qualsiasi giovane di andare lontano da casa. Ma lontano per davvero, non poter tornare con un pullman quando sei triste. Ricordo che al primo anno mio nonno ci aveva lasciato, ma non sono tornato, perché avrebbe significato stare una settimana lontano dalla squadra e dalla mia responsabilità. Ero in un momento delicato, ma ho continuato il mio percorso. L’esperienza da giovane, lontano da casa, è stata fantastica. E non è stato un bisogno economico, l’ho fatto perché i miei genitori mi hanno spronato”
Il suo percorso italiano, come anticipato, è una vera e propria scalata graduale verso i piani alti del basket nostrano. A Massafra non riesce a trovare spazio, ma non si perde d’animo e sposta i suoi talenti a Senise prima e Salernopoi, conquistando il campionato di C2. Il salto di categoria potrebbe intimorire, ma realtà è che i gradini superati sono due, come quando da piccoli si corre all’impazzata per le scale del condominio: Potenza punta su di lui per la B2 e lui ripaga con un ulteriore tuffo verso la B1.
I numeri sono importanti: Cerella mantiene medie da 16.8 punti, 5.5 rimbalzi, 1.8 assist e 2.4 palle recuperate a partita, con il 66.8% dentro l’area e l’81.5% ai liberi. Nel 2008, arriva un altro doppio salto, con la chiamata di Teramo per la Serie A. Bruno, a quattro anni dal suo arrivo tra le maestranze, è sul palcoscenico con la platea più numerosa. Ma non ha intenzione di dimenticare ciò che ha appreso dietro le quinte:
“Di quegli anni, mi sono portato dietro la capacità di saper rispettare il momento della carriera. Non bisogna bruciare le tappe o avere delle grosse aspettative da giovani, quando bisogna divertirsi e appassionarsi, senza pressioni. Il divertimento e la passione sono ciò che ti fanno alzare la mattina con la voglia di andare in campo e lavorare. Nessuno ti deve imporre nulla. Quando sono arrivato in Italia, l’ho fatto principalmente per vivere un’esperienza di vita lontano dalla mia famiglia e poi, dando il massimo, essendo contento ogni giorno per quello che facevo, sono riuscito a fare il mio percorso, crescendo e facendo quasi tutte le categorie, dove mi sono divertito molto ed ho formato una parte fondamentale di me, quella di dare importanza alle piccole cose quotidiane. Non avrei mai immaginato di giocare per Milano e Venezia per quasi dieci anni di fila, dove mi sono divertito ed ho vinto tanto insieme a grandi persone, prima che compagni. Ho viaggiato, mi sono divertito, ho guadagnato. Questo credo sia il frutto di una grande dedizione, passione e divertimento all’interno di tutto il percorso”
Il processo di inserimento nelle rotazioni di coach Capobianco è complesso, vista l’abbondanza di talento nei primi biancorossi della sua carriera. In Abruzzo trova Jaycee Carroll, David Moss, Peppe Poeta, Brandon Brown e Valerio Amoroso, tra gli altri. La concorrenza, dunque, è particolarmente spietata e Teramo sorprende dall’inizio alla fine. Il terzo posto in classifica è il preludio di una serie di annate soddisfacenti per Bruno Cerella, che cresce individualmente e matura nel collettivo. Possono sembrare sinonimi, ma il confine tra questi due verbi, quando c’è di mezzo lo sport, è fin troppo labile.
I quattro anni abruzzesi, intervallati da una parentesi in A2 a Casalpusterlengo, gli stendono il red (and white) carpet verso le successive avventure in terra lombarda. In particolare, Cerella rapisce le attenzioni di tifosi – capiterà anche al sottoscritto – ed addetti ai lavori con una prestazione da capogiro il giorno dopo San Valentino 2012: contro l’Angelico Biella di Aubrey Coleman e Jacob Pullen, il bahiense tira fuori una gara da 27 punti (5/7 da 2 e 4/5 da 3), 2 rimbalzi, 2 assist, 4 recuperate e 7 falli subiti, con 34 di valutazione. Un fascio di luce in una stagione piena di problematiche societarie, al termine della quale il basket teramano uscirà definitivamente dalle scene.
Cerella, però, non può salutare in maniera ordinaria la squadra che per prima gli ha permesso di assaporare la Serie A. Verso la fine del terzo quarto di gioco contro Milano – guarda un po’ il destino -, il ginocchio fa crack. Il responso è il peggiore: rottura del legamento crociato, si pensa all’anno prossimo. Si pensa a Varese, che punta su di lui nonostante un’integrità fisica alquanto deficitaria.
Cerella c’è poco sul campo, ma è uno dei tanti tasselli nel puzzle che costruisce Frnk Vitucci, direttore in un’orchestra che prevede musicisti come Bryant Dunston, Ebi Ere, Adrian Banks, Mike Green, Dusan Sakota ed un giovanissimo Achille Polonara. Suona bene, quest’orchestra. Ma il Festival 2012/2013 premia un’altra concorrente:
“Quella stagione è stata fantastica, perché abbiamo dominato la classifica dall’inizio alla fine, vincendo un po’ in tutti i campi d’Italia. Tanti giovani e tanti nuovi giocatori nella stessa squadra, il che è difficile, ma c’è stata subito una bella alchimia e ci siamo amalgamati subito. Peccato non aver vinto nulla. Sono quelle annate in cui arrivi primo in classifica, ma poi perdi la finale di Coppa Italia con Siena, ti si rompe Dunston in semifinale Scudetto e perdiamo gara-7 in casa… Non aver vinto lo Scudetto è stato un peccato, ma ci siamo divertiti tantissimo ed abbiamo riportato Varese, una città che vive di pallacanestro, in alto in classifica. Per me è stata un’annata particolare, perché era il mio rientro dall’infortunio al crociato. È stato bello, perché a Varese si vive benissimo ed il basket si sente. La stagione è stata fantastica”.

Non c’è due senza tre, e l’opportunità casca dal cielo all’indomani di quella prima stagione in maglia Varese. Un’altra città che vive di pallacanestro lo chiama con sé, pronta a vincere e convincere dopo un’astinenza di 18 anni. E dunque il saluto a Bahia Blanca, il volo poco dopo la maggiore età verso le fondamenta della pallacanestro italiana, i sacrifici: tutto ripaga, visto che Luca Banchi lo vuole nell’Olimpia Milano che tornerà sul tetto d’Italia nell’estate successiva.
Bruno è una delle componenti di quel Luis Scola calamitante ad Atene 2004: cuerpo nella metà campo difensiva, ma soprattutto alma di una compagine ricca di talento. Keith Langford, Alessandro Gentile, Daniel Hackett (a stagione in corso), Samardo Samuels; e poi un giovanissimo Nicolò Melli, l’ex compagno di squadra a Teramo David Moss. E poi Cerella, che in un amen diventa il beniamino del Mediolanum Forum: difesa, grinta, carica emotiva.
All’ombra della Madonnina, l’argentino mette in bacheca 2 Scudetti, 1 Supercoppa Italiana e 2 Coppe Italia. La seconda, nel 2017, contro la Dinamo Sassari. La prima, l’anno precedente, con un recupero lampo: Cerella subisce una lesione a manico di secchio del menisco mediale del ginocchio destro nei quarti di finale contro Venezia, nella serata di venerdì. Sabato alle 8:30 viene operato a Monza e domenica sera è in campo contro Avellino, pronto a sollevare un trofeo che a Milano mancava da 20 anni. Resiliencia.

Cerella in oro y granate
Forse è la mancanza del mare, che l’aveva cullato durante infanzia ed adolescenza. O forse è proprio la consapevolezza che possa scegliere cosa fare di quel che verrà. Asterisco: voglia scegliere. Si allinea qualche astro nel cielo sopra la Serenissima e Bruno Cerella riparte da Venezia. Sono lontani i tempi di Potenza, così come quelli di Teramo: nel corso degli anni ha affinato il suo ruolo, nel processo di maturazione di cui ho accennato in precedenza.
E si sposa perfettamente con la Reyer: spirito libero ma pragmatico, tanto sognatrice quanto realista. Ma soprattutto, capace di rialzarsi quando l’atterraggio si trasforma in ammaraggio, questione di abitudine.
“Di sicuro, la scelta dei giocatori è quella più importante, ed è un qualcosa che parte dal presidente, dal GM e dallo staff tecnico. Guardano molto la parte tecnica dei giocatori, ma soprattutto quella umana. A prescindere dal fatto che in certe annate abbiamo vinto, abbiamo saputo attraversare momenti difficili senza sgretolarci. Tutti gli anni abbiamo avuto periodi complessi, ma la parte umana è emersa in modo positivo ed al posto di sgretolarci, ci siamo uniti e siamo arrivati pronti alla Coppa Italia, ai playoff, alla finale di Europe Cup… queste son cose molto importanti e c’è un grandissimo lavoro da parte dello staff tecnico. I valori all’interno del gruppo sono fantastici: abbiamo davvero il piacere di condividere una pizza dopo l’allenamento in spogliatoio, perché ci si diverte e si sta bene”

In panchina, ormai dal 2016, siede Walter De Raffaele, che l’ha convocato nel 2008 nella sua Nazionale LNP Under-22. L’attestato di stima nei confronti dell’argentino era arrivato anche dal mentore e predecessore dell’attuale coach orogranata, Charlie Recalcati. Difficile, dunque, ipotizzare che le cose tra Cerella e l’ambiente veneziano non sarebbero andate nel migliore dei modi.
E infatti, la bacheca si arricchisce: un altro Scudetto, un’altra Coppa Italia ed una Europe Cup, prima e finora unica competizione europea vinta dal numero 30. Sarebbe potuta essere la seconda, ma il Maccabi Tel Aviv incontrato nel 2014 – e che avrebbe vinto quell’Eurolega, proprio al Mediolanum Forum – non voleva buttare al vento un sogno pronto per essere avverato.
Venezia si appresta alla fase più bollente e tormentata della stagione, con la primavera che si affaccia sulla Laguna ed implora che la cavalcata entro i confini nazionali possa proseguire fino al suo tramutarsi nell’estate. Sempre con il tricolore sul petto, visto che nell’annata 2019/2020 la pandemia ha impedito che qualcuno lo scucisse dalla divisa oro-granata. Bruno Cerella c’era e lo rivive, consapevole che una nuova fase della propria avventura si stia avvicinando. E non è detto che sia sul parquet.
“Ci sono diversi momenti nella carriera ed ognuno ha il suo perché. Da giovane vuoi mangiarti il mondo, al top della carriera sei concentrato su quello, mentre quando cominci a crescere ti godi di più le piccole cose a cui prima non davi importanza, dallo spogliatoio ad una vittoria che va al di là della prestazione personale. Tra lo Scudetto con Milano e quello con Venezia, l’ultimo me lo sono goduto in modo diverso, più maturo: sono momenti diversi nella propria avventura. Ed è questo il bello, perché si cambia, si cresce e tutto ha un ciclo.
Non l’avrei mai pensato, ma gli anni cominciano a passare ed arriva, prima o poi, la fine della carriera. Le basi della mia carriera sono state la pazienza, la costanza e la dedizione al lavoro quotidiano. Al di là di quanto talento uno possa avere, quella è una forza mentale che ti dà tantissimi frutti da qualsiasi punto di vista, in ogni momento. La cosa che noto oggi è che i giovani vogliono tutto subito e c’è frustrazione quando non si arriva subito all’obiettivo. Bisogna comprendere che la vita non è un “ok, voglio quello: finita”. Fa tutto parte di un percorso, di vivere la vita perseguendo piccoli e continui obiettivi da raggiungere, per avere stimoli quotidiani”
Arcoíris de decisiones Come ho cercato di far capire nel corso della narrazione, la base su cui si è poggiata la carriera del bahiense è sempre stata la dedizione quotidiana al lavoro. Credo che ciò che ha rappresentato il vero cemento armato nella carriera dell’argentino sia, però, la consapevolezza delle proprie scelte, che esulano da tutto e da tutti. Essere artefici del proprio destino, desde el primer día.
C’è chi non può avere questa base, costretto ad una vita senza il sogno di calcare il parquet. O senza alcun tipo di sogno, in maniera letterale. Ragazzi il cui destino è stato regolato con filo da decisioni altrui. È per loro che Tommaso Marino e Bruno Cerella hanno fondato Slums Dunk, per far sì che nel loro futuro non ci sia spazio per nessun altro burattinaio.
“La più grande soddisfazione è il fatto che ancora oggi, dopo 10 anni, continuano ad aumentare i sostenitori, coloro che si appassionano ad un progetto che è di tutti. E soprattutto, abbiamo nettamente oltrepassato le nostre aspettative sui frutti che avremmo pensato di raccogliere. Dalle 50 borse di studio dei nostri giocatori e delle nostre giocatrici, che non avremmo mai immaginato, allo sviluppare un progetto nuovo in territorio italiano; e poi allargarci in Argentina, la mia terra, a cui ho sempre pensato di dare qualcosa indietro, avviare una nuova attività in Cambogia… scrivere un libro, fare tantissime cose con persone fantastiche conosciute lungo il percorso. Se mi guardo indietro, penso che siamo stati folli, perché avevamo 23 anni, ma al contempo – e lo dico con orgoglio – meravigliosi, perché abbiamo creato un progetto sostenibile nel tempo, che porta contributi a diverse comunità nel mondo”

Una delle nuove tappe di questo percorso, dunque, passa proprio da dove tutto è iniziato, nella prima squadra che ha creduto nel 30 di Venezia. A Bahia Blanca, grazie all’aiuto del Pueyrredon e dei murales di Julian Martin, è nato un nuovo progetto, dipinto come un arcobaleno. E c’è anche questo, nell’orizzonte di Bruno Cerella.
“Per colorare il mio futuro, rovescerei quelle vernici tutte insieme. Vedo un futuro prossimo, molto bello, perché per me la pallacanestro è uno strumento che ho utilizzato per vivere questa tappa nella mia vita, consapevole che avrà una fine naturale, come giocatore. Sono conscio che Slums Dunk sarà la mia parte legata al basket per sempre: ho tanti progetti che sto sviluppando al di fuori dal campo, per vivere la vita in modo sereno, ma continuando ad avere cose da fare.
Vorrei avere sempre nuove sfide. Di sicuro con più libertà nei weekend rispetto a tutta la carriera, però vedo un futuro bello, perché sono una persona curiosa e che non si accontenta solo di giocare a basket. Ad oggi, quando appenderò le scarpe al chiodo, posso scegliere cosa fare e questa è una fortuna. Mi son creato la mia vita fuori dal campo per non essere costretto a tornare in Argentina, come il 90% degli atleti stranieri in giro per il mondo. Vorrei poter scegliere cosa fare”
Poter scegliere cosa fare. Objetivo escoger, palabra de Brunito.